Wednesday, October 29, 2014

Il carcere-ergastolo di S.Stefano

Per raggiungere l'isola di S.Stefano, partendo da Ventotene, a bordo di un gommone a motore, ci si mettono al più dieci minuti. Certo non era così quando alla fine del '700 fu costruito il carcere borbonico che ne porta il nome.  Gli ospiti provenivano poi per la gran parte dalla costa Partenopea.

La struttura a ferro di cavallo fa di questo carcere un panopticum: dalla torre di guardia, posta al centro, è possibile osservare quello che succede in ogni cella. È un po' l'analogo di quanto succede a teatro: i posti a sedere sono disposti in modo tale che chiunque riesca a vedere il palco scenico. Non è un caso che la pianta del carcere sia perfettamente sovrapponibile a quella del teatro S. Carlo di Napoli. Qui però il ruolo di spettatore e attore sono invertiti. Le guardie sono gli spettatori, i carcerati gli attori.

Ma chi sono questi attori, gli esseri umani, che nell'arco dei circa 170 anni di storia di questo luogo. hanno vissuto dentro queste celle? Un elenco non farà certo loro giustizia, di alcuni di essi si è persa pure la memoria. Per i curiosi mi sento in dovere di citare almeno, in ordine di apparizione, Gaetano Bresci, Sante Pollastri, Sandro Pertini. Ho deciso di citare loro tre per ragioni "affettive", un ricordo, una canzone, una frase, mi lega ai loro nomi.
Di questi tre, Gaetano Bresci è l'unico a non aver mai lasciato S. Stefano. Ho visitato la sua tomba, inizialmente con l'intenzione di portargli un fiore, ma poi ha prevalso uno strano senso di colpa nei confronti della natura selvaggia dell'isola, insieme alla consapevolezza che questo genere di gesti giovano più ai vivi che ai morti.


Friday, June 20, 2014

illuminazione pre seminario

Sono ad una conferenza, in una stanza tutta affrescata, in una villa magnifica. L'ansia per il seminario che dovrò fare tra circa un'ora comincia a farsi sentire.

Si mangia come come maiali, avanzando un sacco di cibo. E mentre noi siamo in questa torre d'avorio c'è gente che muore di fame, o di guerra (o di entrambe) o di mancanza di cure mediche.

Mi sento una privilegiata. Faccio parte di una minoranza, di un'élite intellettuale.
Ho il privilegio di potermi preoccupare di un seminario, che forse ascolteranno in tutte le sue parti due o tre persone. Ho il privilegio di potermi preoccupare dell'impressione che darò, del giudizio che gli altri daranno di me. È strano guardarsi intorno e trovare che tutto ciò sia in qualche modo assurdo?

E pensando a tutto questo, mi accorgo che dopotutto, così facendo, sto implicitamente sputando nel piatto in cui mangio.

Devo trovare la mia strada, il mio modo per scendere a patti con l'assurdità e ingiustizia del mondo in cui vivo.